Principi fondamentali

Prima di addentrarci in quelli che sono i principi specifici che regolano l’allenamento di tipo aerobico, appare opportuna una panoramica sulle considerazioni di ordine generale che rivestono importanza in tutti i programmi di allenamento.

Per sviluppare forza e resistenza il muscolo deve essere impegnato a lavorare sopportando carichi via via crescenti. Intervengono numerosi adattamenti fisiologici che determinano un potenziale energetico più elevato all’interno di ogni cellula muscolare. I principi fondamentali per ogni programma di allenamento sono:

    1. Individuare il sistema energetico principalmente utilizzato nell’esecuzione di una data attività;
    2. Attraverso il principio del sovraccarico costruire un programma di allenamento che sia in grado di sviluppare quella specifica fonte energetica più di ogni altra.

Il primo dei due princìpi enunciati è strettamente collegato alla specificità dell’allenamento, poiché è essenziale sottolineare come tutti i programmi di allenamento devono essere specifici al fine di sviluppare il sistema o i sistemi energetici utilizzati in modo prevalente durante la particolare attività sportiva.

Tale concetto vale anche per i programmi di allenamento di condizionamento generale, finalizzati semplicemente a migliorare l’efficienza fisica e non la mera prestazione sportiva. In tale caso, trattandosi di miglioramento generale, saranno interessati tutti e tre i sistemi energetici, a differenza dei programmi specifici che prevedono, di norma, la programmazione dell’allenamento finalizzato al miglioramento di uno o due sistemi energetici.

Come possiamo riconoscere qual è, o quali sono i sistemi energetici predominanti per ogni attività o disciplina sportiva?

ciclismo

Una delle metodologie maggiormente utilizzate prevede la ripartizione delle diverse discipline sportive, in base all’impegno “fisiologico”, ripartendo le diverse attività a seconda del tipo di sistema energetico impiegato e/o della durata in termini di tempo.

Secondo tale classificazione, ad esempio, vengono considerate attività sportive a carattere prevalentemente aerobico di durata superiore a 4-5 minuti: la marcia, il nuoto nella distanza 400, 800 e 1500 metri, la corsa piana sui 5000 e 10000, il ciclismo ed il canottaggio.

Di contro, vengono classificate come ad impegno prevalentemente anaerobico della durata da 20 a 40 secondi: i 200 metri piani, il pattinaggio di velocità.

Esistono anche tipologie di sport ad impegno “misto” aerobico anaerobico della durata compresa tra i 40 secondi ed i 4-5 minuti come ad esempio: il Km da fermo nel ciclismo e i 100 e 200 metri nel nuoto, i 400 ostacoli o gli 800 metri piani e l’inseguimento su pista nel ciclismo.

Partendo da tali presupposti, un maratoneta, ad esempio, dovrebbe dedicare il 5% del regime di allenamento allo sviluppo del sistema ATP-PCr (sistema misto aerobico/anaerobico fosfageno), mentre il 95% della durata dell’allenamento dovrebbe essere dedicato allo sviluppo del sistema aerobico.

Appare pertanto evidente come il tempo della prestazione sia strettamente correlato con i sistemi di fornitura dell’energia, le fonti di energia sono cioè tempo-dipendenti. Qualsiasi sia l’attività fisica per un periodo di tempo prolungato, la fonte primaria di energia dipenderà dal tempo di esecuzione.

A tal proposito esistono delle tabelle appositamente formulate, le quali per diverse le discipline sportive, attribuiscono le percentuali di incidenza dei sistemi energetici utilizzati.

Ad esempio: un portiere di una squadra di calcio utilizza per l’80% il sistema aerobico- e anaerobico ATP PCr, un maratoneta per il 95% utilizza il sistema aerobico e per il 5% quello AL-aerobico, mentre un nuotatore che copra la distanza dei 100 mt, utilizza per l’80% il sistema anaerobico lattacido e per il restante 15% quello misto aerobico-anaerobico alattacido.

In ordine al secondo principio (sovraccarico), questo implica che il carico dell’esercizio sia quasi massimale, e che esse venga gradualmente accresciuto, a misura che aumenti la capacità fisica del soggetto durante l’intero corso del programma di allenamento. Ad esempio, nel programma di allenamento con pesi, questo viene applicato stabilendo il numero massimo per un dato numero di ripetizioni. Mentre in attività costituite da corsa ciclismo o nuoto, la progressione del carico viene realizzata in base all’intensità, alla frequenza cardiaca e alla durata del programma.

Per intensità si intende il livello di impegno richiesto al soggetto rispetto alle sue capacità massimali. Tale concetto appare fondamentale in quanto esiste una intensità “soglia” che bisogna individuare per provocare la reazione adattiva evitando di disperdere gli sforzi compiuti, ad esempio lavorando ad intensità troppo basse o con carichi troppo elevati, non assecondando pertanto le reazioni adattive.

Dei principi del sovraccarico, l’intensità è probabilmente quello più importante, in quanto direttamente correlato con il miglioramento della massima potenza aerobica espresso come VO2 massimo. Il metodo a tal proposito più utilizzato per determinare l’intensità di un programma di allenamento, è quello della frequenza cardiaca, poiché è stato accertato che l’entità della risposta della frequenza cardiaca ad un carico di lavoro può essere adottata come indice di sovraccarico imposto all’intero organismo e, in modo specifico, al sistema cardiorespiratorio.

Nella pratica, il punto essenziale è l’identificazione della dimensione ottimale dello stimolo che permetta il giusto grado di allenamento. Ad esempio: se uno specialista nel ciclismo, percorre 60-90 Km in una seduta non si può pensare che 20-30 Km alla stessa intensità possano sufficientemente allenarlo.

È chiaro che carichi sensibilmente inferiori in intensità e durata possono essere utilizzati per favorire l’adattamento attraverso una minore attività, ma è fondamentale capire che esercizi inferiori alla intensità soglia, dopo un certo periodo di tempo, fanno perdere progressivamente gli adattamenti acquisiti.

In merito, l’intensità dell’allenamento viene determinata in base al monitoraggio della frequenza cardiaca, significando che il motivo di questa scelta sta nel fatto che tale valutazione è un metodo indiretto di valutazione dell’utilizzo di ossigeno da parte dell’organismo, visto che consumo di ossigeno e frequenza cardiaca, risultano essere strettamente correlati. Più elevata è la risposta alla frequenza cardiaca, maggiore è l’intensità dell’esercizio.

Da ciò l’idea di determinare un valore di frequenza cardiaca mirata, ossia tale da doversi raggiungere durante le sedute di allenamento alla resistenza. Uno dei metodi più usati è quello della “massima frequenza cardiaca”, rapportando la percentuale target alla massima frequenza (100%).

In sostanza calcolo la mia cardiaca massima, ad esempio, con la formula di tanaka: 208 – (0,7 x l’età), dopo ciò, se questa è 200 battiti per minuto ed il mio obiettivo è quello di allenarmi alla soglia dell’80%, raggiungerò tale target di intensità allenandomi all’80% di 200, cioè 160 battiti per minuto.

Altro metodo mirato a determinare l’intensità di un allenamento è quello riferito al concetto di soglia anaerobica. Tale soglia è quella che prevede, a seguito dell’accresciuto consumo di ossigeno e quindi dell’innalzamento della frequenza cardiaca sopra certi limiti, interviene un’accelerazione del metabolismo anaerobico, durante il quale l’acido lattico inizia ad accumularsi rapidamente nel sangue e nei muscoli. Le più recenti teorie sull’allenamento sportivo hanno sostenuto la tesi e l’opportunità di imporre un’intensità di carico corrispondente alla soglia anaerobica per gli atleti di resistenza.

Trattasi del così detto lavoro “in soglia”, ovvero di quello posto tra la percentuale di frequenza aerobica e quella anaerobica, il quale favorisce, e anche di molto, il lavoro di resistenza aerobica.

Le differenze fisiologiche tra i due metodi (freq. massima e soglia anaerobica) risiedono nella diversità dei sistemi dell’uno e dell’altro. Con il metodo della frequenza cardiaca viene infatti misurato il grado di stress al quale viene sottoposto il sistema cardiorespiratorio, mentre con quello della soglia anaerobica, l’intensità viene determinata sul grado di stress al quale viene sottoposto il sistema metabolico nei muscoli scheletrici.

In merito, poiché l’esatta determinazione della soglia individuale appare più complessa da determinare (a seguito di analisi di laboratorio) studi recenti hanno statisticamente definito il fatto che:

  • il 55% della popolazione ha il valore di soglia all’80% della F. max;  
  • il 75% della popolazione ha tale valore in soglia all’85% della propria frequenza massima;
  • il 100% della popolazione ha il proprio valore di soglia ad una percentuale di frequenza cardiaca superiore al 90% della massima.

Più in generale, quanto maggiori saranno la frequenza delle sedute di allenamento e la durata di questo, tanto più grandi saranno i benefici sulla forma fisica.

Ciò è particolarmente valido nei riguardi dell’allenamento alla resistenza.

È stato infatti osservato che i programmi di allenamento con il metodo delle prove intervallate, caratterizzati da una maggiore frequenza di sedute (ad esempio 4 rispetto a 2 per settimana) e da una maggiore durata complessiva (13 rispetto a 7 settimane) inducono un minore stress cardiorespiratorio in corso di esercizio submassimale. Ne deriva che per gli allenamenti di resistenza, la frequenza sia compresa tra 3 e 5 giorni per settimana, e che invece per i programmi anaerobici o di velocità, sia di 3 giorni per settimana. In merito conviene senz’altro limitarsi ad una seduta di allenamento al giorno, giacchè non si ottengono maggiori miglioramenti del fitness e della prestazione strutturando la giornata con due o tre sedute.

In definitiva le linee guida per la determinazione dei fattori di intensità, frequenza e durata in programmi di allenamento possono così sintetizzarsi:

Fattore di allenamentoAerobicoAnaerobico
Intensità85-90% Freq.max>90% Freq. mass
Frequenza4-5 settimana3 settimana
Durata12-16 settimane8-10 settimane

Un ultimo concetto prima di addentrarci nello specifico sistema aerobico è quello della correlazione carico-recupero, i quali devono essere considerati e organizzati in diretto collegamento. Tale rapporto dinamico è una delle chiavi dell’intero processo di allenamento, ed il dosaggio del rapporto è fondamentale per indurre o allontanare lo stato massimo di forma. Il recupero ha una funzione chiave nel rendere l’atleta disponibile alle alte prestazioni sportive, attraverso uno stato di maggiore freschezza che segue ad uno spazio di tempo maggiore dedicato al riposo o alla diminuzione del carico e quindi nel favorire l’adattamento ai carichi maggiori.

Tipologie di lezioni indoor

Le attività aerobiche possono suddividersi in funzione della spesa energetica impiegata e dello stress muscolo-tendineo e articolare dell’atleta in allenamenti:

  • a bassa intensità;
  • misti;
  • ad alta intensità.

Prima di addentrarci nelle diverse tipologie, appare opportuno premettere che l’obiettivo dell’allenamento è quello di sviluppare “adattamenti” necessari all’organismo per renderlo capace di produrre uno sforzo adeguato all’attività o alle attività praticate. Tali adattamenti sono provocati da stimoli biologici che sollecitano una reazione organica, psichica ed anche affettiva, ed insorgono quando l’organismo non riesce a far fronte alle richieste con il potenziale esistente o ci riesce con difficoltà. E’ pertanto una risposta di autoregolazione dell’organismo che si modifica funzionalmente e anche morfologicamente (ipertrofia muscolare) reagendo cosi alle diverse sollecitazioni, ottimizzando i processi.

Nell’allenamento sportivo gli stimoli sono gli esercizi fisici realizzati nella pratica della disciplina esercitata, poiché questo non è generico né indifferenziato, ogni stimolo porta effetti specifici, ad esempio, un soggetto sedentario che si sottopone ad una seduta di corsa o ad esercizi fisici, per qualche giorno potrà avvertire indolenzimenti o comunque uno stato di fatica generale; questo è uno stato transitorio che non si produrrà in seguito con il crescere delle sedute di preparazione. Sarà infatti progressivamente più difficile impegnare il soggetto che si prepara con continuità, ricercando condizioni più impegnative per le diverse capacità motorie.

Da qui la necessità di diversificare gli stimoli (variando pertanto l’intensità) in funzione sia del momento di periodizzazione che anche dello stato di allenamento complessivamente raggiunto dall’atleta.

Altra premessa necessaria appare quella della definizione del concetto di intensità.

Questa, esprime il livello di impegno richiesto al soggetto rispetto alle sue capacità massimali. Essa appare determinante in quanto esiste una cd “intensità soglia” da individuare per provocare quella reazione adattiva che determina il miglioramento delle proprie performance fisiche. Tale livello cambia da persona a persona, ed esiste anche uno stretto rapporto tra intensità e specificità dello stimolo poiché il livello di intensità determina anche la sua specificità, ad esempio, oltre un certo livello di frequenza cardiaca non si allena solo il metabolismo aerobico, ma anche quello anaerobico e viceversa. I livelli di intensità di uno stimolo possono essere identificati in ciascuna delle capacità fisiche condizionali, ovvero forza, resistenza e velocità, e sono influenzati anche da altri importanti parametri quali:

  • durata dello stimolo (tempo di attività del singolo esercizio, continuo o intervallato);
  • densità dello stimolo (rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di recupero);
  • quantità dello stimolo (insieme delle caratteristiche quantitative e qualitative dello stimolo).

Come si può determinare praticamente e semplicemente l’intensità di un programma di allenamento?

allenamento aerobico

Il metodo più semplice è quello basato sulla frequenza cardiaca, nella considerazione che è stato accertato che l’entità della risposta cardiaca ad un carico di lavoro, può essere adottata come indice del sovraccarico imposto all’intero organismo, ed in modo specifico, al sistema cardiorespiratorio.

Il significato di tale scelta sta nel fatto che tale monitoraggio è un modo indiretto per valutare l’utilizzo di ossigeno da parte dell’organismo, poiché entro un’ampia gamma di valori, il consumo di ossigeno e la frequenza cardiaca risultano essere correlati in maniera lineare, ad esempio, se la frequenza cardiaca è al 70% di quella massima, questa rappresenta il 60% della capacità massima aerobica, mentre una frequenza cardiaca pari all’85% della F.Max rappresenta l’80% della massima potenza aerobica. (il grafico mostra gli studi ai quali sono pervenuti Saltin Bengt – professore di fisiologia dell’esercizio e Taylor H.L. – biomedico). Quando viene raggiunta la massima frequenza cardiaca, il consumo di ossigeno (che misura pertanto la capacità aerobica) è ancora in fare di crescita. In definitiva, più elevata è la risposta della frequenza cardiaca, maggiore è l’intensità dell’esercizio.

Accanto al metodo della frequenza cardiaca, vi è anche un altro metodo per determinare l’intensità degli esercizi basato sul concetto di soglia anaerobica, che è

quella soglia nella quale all’intensità di lavoro o livello di consumo di ossigeno, corrisponde un’accelerazione del metabolismo anaerobico. In altre parole, si tratta di quella data intensità di carico alla quale l’acido lattico inizia ad accumularsi rapidamente nel sangue e nei muscoli. Tale metodo di determinazione dell’intensità appare però poco pratico, in quanto per la misurazione di tale limite (ventilazione minuto e lattacidemia), occorrono apparecchiature di laboratorio.

Premesso tutto ciò appaiono più chiari i motivi per i quali si tende a diversificare l’intensità degli allenamenti al fine sia di parametrarlo alla tipologia di atleta da allenare, che al fine di rendere il processo di adattamento più efficace possibile anche in soggetti già condizionati.

Lezione indoor a basso impatto

Una lezione aerobica a basso impatto viene utilizzata principalmente per neofiti che si affacciano al lavoro aerobico e quindi soggetti anche vulnerabili a possibili traumi articolari o muscolari.

Questo tipo di lavoro, prevede che la velocità con cui viene prodotta energia sia relativamente bassa, con conseguente ridotta spesa energetica in un dato tempo di lavoro. Lo scopo è quello di elevare le capacità generali dell’atleta per predisporlo a sopportare carichi di lavoro via via crescenti. L’intensità come detto non è elevata motivo per il quale ci si può peraltro concentrare anche al miglioramento delle abilità tecniche richieste da ogni singolo esercizio. Sostanzialmente si tratta di allenamenti utili quali prerequisiti in vista del miglioramento della propria condizione generale.

La fonte energetica prevalentemente utilizzata è quella della “fosforazione ossidativa” derivante dall’utilizzo prevalente dei grassi quali combustibili.

Trattandosi di allenamenti a basso impatto chiaramente anche l’utilizzo della fonte energetica è parametrata all’intensità applicata.

Ultimo inciso, ma per questo non meno importante, tale tipologia di allenamento, è utile allorquando nella pianificazione della periodizzazione annuale mirata al raggiungimento della migliore forma, è utile un periodo di recupero psico-fisico susseguente, ad esempio, ad un periodo di allenamenti ad alta intensità, necessario anche alla ripresa e alla ricostruzione della “base aerobica”.

Obiettivo quindi è quello di ristorare il corpo fisicamente e mentalmente, senza avvertire alcun bruciore muscolare, mantenendo la frequenza cardiaca tra il 50% ed il 65% della frequenza massima.

Lezione indoor ad alto impatto

Al contrario della precedente, in questa lezione, la velocità con la quale viene prodotta energia è molto elevata.

L’impegno del VO2 max raggiunge la sua soglia massima, per cui è consigliato questo tipo di lavoro ad atleti particolarmente allenati e privi di patologie particolari che possano rendere pericolosa la lezione stessa.

Prerequisito essenziale è la costruzione di una solida base aerobica, di contro, quando applicata correttamente, questa intensità produce un numero considerevole di miglioramenti funzionali dei quali parleremo in seguito.

La soglia di allenamento in questo caso prevede l’utilizzo di frequenze cardiache al limite o superiori ai limiti aerobici, che nella maggior parte della popolazione attiva si attesta, oggi, intorno all’85% della F. Max.

Il sistema energetico utilizzato, oltre ovviamente a quello lipidico proprio del sistema aerobico, è quello cd. Lattacido o della glicolisi anaerobica, poiché l’altro: ATP-CP poco utilizzabile in ambito non professionale visto che fornisce energia molto velocemente ma per periodi di tempo limitatissimi (nell’ordine dei 10 secondi a sforzo elevato o 20 a sforzo moderato).

Perché allenare la soglia lattacida? Perché il sistema aerobico è così efficace che può quasi considerarsi senza limiti. Fintanto che è presente abbastanza combustile per permettere al sistema lattacido di accelerare il ritmo (il sistema lattacido precede quello aerobico) il grasso fornisce una quantità infinita di combustibile. Per questo, riuscire ad innalzare la soglia lattacida permette ad esempio al ciclista di pedalare più velocemente sfruttando meglio il metabolismo aerobico attraverso quello lattacido o anaerobico.

Tale tipologia di allenamento non è adatta:

  • Soggetti con indizi o sintomi di malattie cardiache;
  • Donne in stato di gravidanza;
  • Chiunque abbia problemi alle articolazioni;
  • Chi sta recuperando da un infortunio;
  • Chi presenta una frequenza cardiaca a riposo maggiore di 8 battiti rispetto alla norma.

Lo schema di utilizzo della frequenza cardiaca può cosi riassumersi:

IntensitàDurataRisultatoTempo
85-9510-40 min.Capacità aerobica di fascia altaTotale di 30 – 60 minuti di lavoro
95-1055-30 min. Innalzamento della LTTotale di 30 – 40 minuti di lavoro
105-1151-6 min.Supersoglia (oltre soglia)Serie di 3 – 5 con recupero incompleto, seguito da un recupero completo tra le serie
>12015-30 sec.Capacità di lavoro anaerobico, lavoro neuro-muscolareSerie di 2-6 (2-3 minuti tra ogni serie)

E’ stato analizzato che, in soggetti non molto allenati, il raggiungimento della soglia massima del VO2 max avviene prima dei 20 minuti di lavoro. A questo punto, l’attività smetterà di essere allenante e l’atleta andrà in acidosi lattacida, non riuscendo più, gradualmente, a compiere una contrazione muscolare sufficientemente efficiente da garantire il giusto movimento.

Nell’atleta più esperto, invece, tale processo sarà ritardato quanto più quest’ultimo sarà allenato. Così permettendo all’intero organismo di poter svolgere l’attività per un tempo maggiore.

Allenamento intervallato

Questa metodologia allenante è estremamente versatile. Permette all’atleta, infatti, di sviluppare e mantenere in allenamento i diversi tipi di sistemi metabolici utili alla produzione di energia.

Sono previsti infatti momenti di lavoro intervallati da intervalli di recupero costituiti da esercizi leggeri o di media intensità.

L’importanza inoltre risiede nel fatto che a differenza del lavoro continuo, è stato verificato che a parità di intensità il grado di affaticamento si riduce, poiché c’è un minore accumulo di acido lattico dovuto all’utilizzo prevalente del sistema del fosfageno.

A prescindere che la lezione sia effettuata a corpo libero, su una spin bike, su un rowing o su un tapis roulant, si potrà anche evitare un eccessivo stress articolare o la possibilità che l’atleta corrompa la sua tecnica per via dell’eccessiva fatica.

Oltretutto, questo tipo di approccio sollecita la soglia anaerobica a una sopportazione più alta di lattato, migliorando la resistenza dell’atleta e la possibilità di eseguire, in futuro, lezioni ad alto impatto.

Un protocollo spesso utilizzato in quest’ambito è l’HIIT (high intensity interval training),di cui approfondiremo in un apposito articolo.

In ordine all’intervallo di “sollievo” questo può consistere, nell’abbassamento dell’intensità rispetto al momento di lavoro a livello medio, l’abbassamento a livello basso della stessa intensità.

Determinante è a tal proposito la scelta del rapporto esistente tra i due momenti che può essere espresso mediante rapporti numerici ad esempio 1:1, 1:2, oppure 1:3, significando rispettivamente nel rapporto 1:1 stessa durata dei momenti di lavoro/recupero; un rapporto 1:2 indica che l’intervallo di recupero sia il doppio rispetto a quello di lavoro, e di conseguenza 1:3 implica che l’intervallo di sollievo duri il triplo rispetto a quello di lavoro.

Esistono chiaramente dei principi che consentono al coach di stabilire un corretto rapporto tra lavoro e sollievo che tenga conto sia del momento della periodizzazione nella quale ci si trova, che della durata ed intensità dei momenti di lavoro.

Riepilogando:

1. Zona aerobica: 50-60% del Vo2 Max – 65/75% della FC max. La concentrazione di acido lattico è vicina ai valori basali (1 – 1,5 mM/l);

2. Zona mista: 65-70% del Vo2 Max – 75/80% della FC max. La concentrazione di acido lattico è pari a 2 mM/l, Questo valore identifica la soglia aerobica, nella quale l’accumulo di acido lattico viene smaltito dai sistemi aerobici a tampone;

3. Zona anaerobica: 75-80% del Vo2 Max – 85/92% della FC max. La concentrazione di acido lattico è pari a 4 mM/l, oltre questa intensità la velocità di accumulo è superiore a quella di smaltimento.

Come precedentemente detto, l’utilizzo delle diverse metodologie è assolutamente interdipendente e multifattoriale. Il ruolo del trainer sarà di fondamentale importanza nel guidare l’atleta attraverso un percorso di adattamento, in totale sicurezza prima di tutto, individuando in esso eventuali limiti e punti di forza, e modulando pertanto i carichi di lavoro a quelle che sono le peculiarità di ognuno, partendo però dal presupposto che tutti possiamo migliorare le nostre performance fisiche, attraverso l’uso cosciente della nostra meravigliosa macchina.

Vuoi conoscere anche i meccanismi di utilizzo delle fonti energetiche ed i benefici del lavoro aerobico?

Non perdere la prosecuzione di questo articolo in uscita mercoledì 08 luglio 2020!

 

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